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Ramiè

Il Ramiè

Il Ramiè è una pianta della famiglia delle urticacee, che ha origine in Asia dove è usata anche a scopo ornamentale. È una specie che se lasciata crescere senza cura, tende a colonizzare aree molto vaste. L’altezza di queste piante va da 1 a 2,5 metri. Le foglie sono a forma di cuore con misure che vanno dai 7 ai 12 cm di larghezza per circa 15 di lunghezza. La parte inferiore è di colore bianco ed ha una folta peluria. Vista la velocità con cui cresce, si possono fare anche 4 raccolti all’anno. Ci sono due varietà: quello bianco che è coltivato in Cina e quello verde che viene dalla Malesia. I più grandi produttori al mondo sono la Cina, la Corea, Taiwan, le Filippine ed il Brasile

ramiè(Ramiè bianco)

Un po’ di storia

Il Ramiè è una fibra usata fin dai tempi più remoti, in modo particolare in estremo oriente. Pare che i cinesi la usassero ben prima che il cotone arrivasse in Asia. Anche in Egitto, già nel 5000 a. C. questa fibra, dalla lucentezza serica e resistente all’attacco di batteri, vermi e muffe, era usata per fare gli abiti delle mummie. I reperti archeologici hanno dato prova delle doti di questo materiale. Infatti, queste vesti sono arrivate intatte fino ai giorni nostri! Il suo nome pare che derivi dalla parola Rameh, con la quale gli indigeni delle isole della Sonda chiamano questa pianta.

(Isole della Sonda)

Il Ramiè arriva in Europa nel 1753, a Lipsia. Si fecero molti prove di acclimatazione in Francia, Germania e Olanda. I risultati, per via della poca resistenza della pianta ai rigori dell’inverno furono scarsi. In America le prime colture di ramié, si ebbero in Florida nel 1855, e poi in Messico.

Le qualità e usi del Ramiè

Questa fibra deriva dalla corteccia della Boehmeria nivea dopo un lungo e costoso ciclo di estrazione. Le fibre di ramiè sono ricche di cellulosa e sono molto lunghe (12 cm). Sono lucenti e di colore avorio, tali da conferire loro il nome si seta vegetale. Come già detto, resistono all’attacco di muffe, batteri e vermi e sono molto assorbenti e fresche. Inoltre, sono facili da sbiancare e reggono bene le alte temperature. Per di più il ramiè non si ritira al lavaggio, ed è molto tenace quando è bagnato. Grazie a queste doti è ideale per essere mischiato con altre fibre quali il cotone e la lana.

Come per tutte le cose, è ovvio che ci siano anche dei lati negativi. Il ramiè è poco elastico, si raggrinza con facilità come il lino e non resiste all’abrasione. Tra i molti usi ricordiamo la produzione di tovaglie,  di reti da pesca,  di fazzoletti e di abiti estivi. Per finire si usa anche per fare carte valori e cappelli estivi.

(Fibra di ramiè)

Le colture in Italia

Il primo tentativo di coltivare il ramiè in Italia, avviene nel 1786 vicino a Bologna, ma senza successo. La coltura riprende in Sicilia dopo un lungo periodo di stallo. La possibilità di introdurre il ramiè in Europa era legata all’uso industriale della fibra, sconosciuta fino al 1800. All’inizio del XX secolo, ci furono molte iniziative in Germania prima e poi in Francia, in Austria ed in Italia per la messa a punto di un ciclo industriale in grado di estrarre e di lavorare la fibra. A questo periodo di euforia seguì un periodo di abbandono della coltura, ripresa poi nel primo dopoguerra.

Come si ottiene il Ramiè

La prima fase è la decorticazione della pianta, che deve essere fatta a mano. Una volta ottenute le fibre grezze, si passa al lavaggio. Poi si essicca il tutto per togliere le parti gommose con dei reagenti chimici. Questa fase purifica le fibre e alza i valori di cellulosa fino al 95%. A questo punto si passa alla filatura che è complessa per via della fragilità del ramiè. Anche la tintura non è semplice per la scarsa capacità di assorbire il colore. Una volta tinti, i colori dei tessuti in ramiè sono molto solidi e danno modo di smacchiare i capi senza problemi.

In ambito ecologico, va detto che di questa pianta non si butta nulla. Se è vero che dalla corteccia si fa la fibra tessile, dal suo interno che è ricco di cellulosa, si fanno carte di gran pregio. Le foglie invece sono usate come alimento in ambito zootecnico per via delle loro doti nutrizionali che sono simili a quelle dell’erba medica.

ramiè(Lavorazione del Ramiè)

La moda

Il ramiè è poco usato nel mondo della moda a causa del suo costo elevato. È più facile trovarlo miscelato con la viscosa, il lino o la canapa dove nobilita queste fibre. Infatti, le rende più luminose e soffici e più stabili al lavaggio. Solo pochi brand hanno nelle loro collezioni il puro ramiè. I capi più comuni sono le sciarpe, le camicie ed i pantaloni. Si tratta però di una piccola nicchia di mercato. L’impiego più grande di questa fibra è nel settore degli arredi; infatti la produzione si concentra tra tovaglie, federe e coperte.

ramiè(Tessuti in ramiè)

 

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Bambù

Il Bambù

Il bambù è una pianta  dell’Asia, ma si trova anche in America, in certe zone dell’Africa ed in Oceania. In Europa non ci sono specie spontanee di questa pianta, ma solo di importazione. Dalle nostre parti è una pianta da giardino. È un infestante che se lasciato crescere senza cura, tende a occupare vaste aree. Queste piante sempreverdi sono molto forti e possono essere alte da pochi cm. fino a notevoli altezze. Infatti, arrivano anche a 40 m. e con un diametro del fusto di 30 cm.

Un po’ di storia

Il bambù è cavo, leggero e molto tenace. Per questo motivo è impiegato da secoli per gli usi più disparati. Già nel Duecento, in Cina, come si legge nel Milione di Marco Polo, lo si usava per fare delle robuste funi con cui costruire i ponti e le gomene per l’ormeggio delle navi. L’esempio più eclatante che prova la grandi doti di questo legno è il ponte sospeso sul fiume Min. Questo ponte ha collegato le due sponde per più di 1700 anni (fino al 2008).

Nella zona del Sichuan, i tronchi di bambù sono stati usati per fare i tubi che irrigavano le colture di riso in un’area di oltre 5000 km². Anche i tubi che portavano il gas naturale alle case dei villaggi, erano anch’essi fatte in bambù. In tempi più recenti, il bambù è stato usato per fare delle trappole mortali durante la guerra del Vietnam. In ultimo si fanno vele intrecciando le fibre e anche della carta.

(Trappola punji – Guerra del Vietnam)

Le qualità e usi del Bambù

Grazie alla sua resistenza meccanica sia alla compressione che alla trazione Il bambù si è detto “acciaio vegetale”. Nel mondo dell’ingegneria, il bambù si usa come materiale da costruzione. Infatti, nelle zone dove questa pianta è diffusa, lo si usa al posto del calcestruzzo, dell’acciaio e del legno. Possiamo parlare dell’ingegneria del bambù. Con questa pianta si fanno pilastri e travi, oppure dei lamellari di bambù o dei compositi molto resistenti. In molte aree della Cina, il bambù è tutt’ora usato per i ponteggi edili.

bambù(Bambù gigante)

I germogli del Bambù sono un ottimo alimento. Facendo fermentare le foglie si fanno bevande alcoliche. In Cina le canne sono usate per far fermentare il vino, mentre In Thailandia viene mangiata l’intera pianta. Nella Guandong, nel sud della Cina, la varietà Pseudosasa amabilis, è usata per fare le canne per la pesca a mosca. Il bambù gigante ha diversi usi, fra cui la produzione di strumenti musicali, come flauti shakuachi o didgeridoo e per fare gli archi giapponesi usati nella disciplina del Kyudo. L’artista afghano Massoud Hassani ha usato il bambù per la sua opera Mine Kafon che è stata esposta al MOMA di New York.

bambù(Germogli per uso alimentare)

Il Bambù ed il mito

Per i cinesi la longevità del bambù un simbolo di lunga vita, mentre in India è un simbolo di amicizia. Visto che fiorisce di rado, la cosa è vista come un segno dell’arrivo di una carestia. Questo credo è dovuto al fatto che i topi si nutrono dei fiori caduti; quindi, moltiplicandosi a dismisura mettono a rischio gran parte dei raccolti. L’ultima fioritura è avvenuta nel maggio del 2006. Pare che il bambù fiorisca in questo modo soltanto ogni 50 anni.

Diverse culture asiatiche, credono che l’uomo discenda da uno stelo di bambù. Nelle filippine, la leggenda narra che il primo uomo e la prima donna ebbero origine dall’apertura di un germoglio di questa pianta, emerso su un’isola creata dallo scontro tra il cielo e l’oceano. In Giappone, i monasteri scintoisti sono spesso circondati da una piccola foresta di bambù, che vuole essere una barriera sacra contro il male.

La moda

La fibra tessile di bambù si ricava dallo stelo con un processo di idrolisi alcalina. Le analisi di laboratorio hanno messo in luce che questa fibra è simile alla viscosa e ha la stessa stabilità e durata. Il tessuto, grazie alle sue qualità, è ideale per stare a contatto con la pelle. Per le sue doti antibatteriche e la grande capacità assorbente, è indicato sia per l’abbigliamento che per l’intimo.

Grazie alle molte cavità che trattengono l’aria, i capi fatti in questa fibra sono traspiranti ed in grado di assorbire umidità e sudore. Infatti, rispetto al cotone, il bambù  traspira tre volte di più. È più fresco e non ci sono cattivi odori. È ideale per le lenzuola poiché la sua azione anti tarmica e anti acaro fa sì che il 95% di questi parassiti muoia nel giro di 24 ore.

 

 

 

 

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Micromodal

Il Micromodal

il micromodal è una fibra artificiale molto sottile che si ricava dalla cellulosa. È 40 volte più fine di un capello e 10.000 m. di questa fibra pesano meno di 1 gr. I tessuti fatti in micromodal hanno qualità di gran lunga superiori al cotone. Sono più forti e non si sfibrano, inoltre si ritirano meno e hanno colori più solidi e brillanti. Al tatto sono lisci, luminosi e soffici e se lavati in acqua ad alto tenore di calcare, sono più restii a trattenerlo tra le fibre. Di conseguenza conservano la loro mano morbida.

I tessuti in micromodal si lavano e si stirano come il cotone. Un’altra dote degna di nota, è la loro capacità di assorbire il sudore.  Infatti questa fibra è circa il 50% più igroscopica, rispetto al cotone. In più è anallergica proprio come il cotone. È ideale per i capi intimi e per i tessuti per il bagno e per la casa.

micromodal

Un po’di storia

Il micromodal è un brevetto della società austriaca Lenzing, che produce la miglior fibra sul mercato. Questa azienda, usa solo polpa di legno di faggio che arriva da foreste sostenibili, cosa molto importante per l’ambiente. Tutti i cicli sono fatti in modo eco-friendly, tanto è vero che le è stato dato il premio Eco-Label Europeo. Le origini di questa fibra risalgono agli anni ’60, (Viscosa o Rayon). Negli anni sono migliorate le tecniche di produzione, fino ad arrivare all’eccellenza odierna che esalta ancora di più le doti di questa fibra.

L’impiego

Il maggior impiego di questa fibra è nel mondo dell’intimo, sia da uomo che da donna. I capi in micromodal sono leggeri, soffici e gradevoli al tatto. Non danno allergie e sono comodi sia in estate che in inverno. La miriade di microfibre che trattengono aria, fanno da isolante, sia contro il caldo che contro il freddo. Nell’intimo, il micromodal viene elasticizzato con dell’elastam in misura del 6/10%. Il tessuto diventa più resistente e stabile ai lavaggi e migliorano di molto le doti di vestibilità e confort. Nel settore della moda, il micromodal è unito alla lana o al cotone per migliorare la mano e la durata di queste due fibre naturali.

Modal e Micromodal

Il Modal ed il Micromodal sono la stessa fibra, che si ricava nello stesso modo e dalla stessa base (polpa di legno di faggio). La differenza tra i due materiali, sta nelle dimensioni. La fibra di Micromodal è più sottile e molto più leggera rispetto a quella di Modal. La sua dimensione è pari a circa 6 micron. Per questo motivo il Micromodal rientra nella categoria delle microfibre. Questa qualità, fa sì che il tessuto in Micromodal, anche se ha una trama molto più fitta, traspiri come il Modal.

 

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Viscosa

Viscosa – La seta artificiale

La viscosa o seta artificiale, è una fibra che si ottiene dalla cellulosa. È bene fare subito una precisazione tra artificiale e sintetico, visto che si tende a confondere questi due termini.

  • Artificiale: Si ottiene con l’artificio dell’uomo. Si parte da un prodotto che c’è in natura e si fa un nuovo prodotto. Nel caso della viscosa si parte dalla cellulosa (polpa di legno o linters di cotone). Il risultato è simile alle fibre naturali. È da sfatare il mito che queste fibre diano cattivi odori, causino problemi di salute e non siano confortevoli. Niente di tutto ciò è vero! La viscosa è un tessuto che non dà allergie.
  • Sintetico: Si ottiene da polimeri diversi che derivano da sintesi chimiche. In queste fibre non si parte da una base naturale ma da composti chimici ottenuti in laboratorio.

Per fare la viscosa, si parte dalla cellulosa e la si tratta con un bagno di soda caustica, poi si aggiunge del solfuro di carbonio. La soluzione colloidale che si ricava, è poi estrusa in sottili fili. Il ciclo successivo è quello di avvolgere questi fili su una rocca, pronti per essere lavati e asciugati.

viscosa

Un po’ di storia

Il chimico francese conte Hilaire Bernigaud de Chardonnet crea la viscosa nel 1883. Fu presentata all’Expo di Parigi nel 1891. I chimici inglesi Charles CrossEdward Bevan e Clayton Beadle ottengono il brevetto per la produzione industriale nel 1902. Nel 1906 il brevetto fu ceduto a Samuel Courtauld, che iniziò a fare la viscosa su vasta scala. Il suo primo nome fu “seta artificiale” poi nel 1924 fu chiamata Rayon. Il nome viscosa deriva dal fatto che, allo stato liquido, questo materiale è molto fluido, ovvero è viscoso.

rocche di viscosa

L’uso della viscosa

la viscosa è una delle fibre più usate nella moda. Per il suo pregio e per le sue doti di è ideale per fare capi di qualità. Infatti la viscosa resiste ai lavaggi, non si deforma, traspira in modo perfetto, non lascia cattivi odori e non dà allergia alla pelle. I capi fatti con questo materiale vanno dall’esterno ai capi di intimo. In questo caso, la viscosa è spesso mischiata con l’elastam in dosi che vanno dal 6 al 10%. Questo ciclo aumenta le doti di vestibilità e confort. Visto che non si stropiccia ed è molto lucente, è spesso unita alla lana o al cotone per fare dei tessuti di alta qualità. viscosa

La Viscosa e l’alta moda

La stilista Stella McCartney, è da sempre molto attenta all’ambiente. In occasione della Climate Week del 2016,ha diffuso il primo video della Deforestation Series. Il tema è la distruzione delle foreste e ha lo scopo di ridurre l’impatto sull’ambiente creato dalla moda. Va detto che, anche se è fatta in modo artificiale, la viscosa ha origine dagli alberi. Stella McCartney, usa solo viscosa eco-friendly e si preoccupa che le foreste della Svezia siano sempre in equilibrio. In questo modo ha sensibilizzato i grandi nomi della moda ed ha posto le basi per una nuova etica di lavoro.

Come si lava?

La viscosa si lava a mano in acqua a 30°. È bene usare detersivo liquido per capi delicati e lasciarla a bagno. Evitare di strizzarla o fare manovre che possano rovinare la fibra. In alcuni casi, (leggere sempre le istruzioni sull’etichetta), si può usare la lavatrice. In questo caso è meglio usare un sacco per biancheria che proteggerà il capo. Alla fine, tamponare l’acqua in eccesso e asciugare su un piano lontano da fonti di calore e di luce diretta.

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Paolo Carletto

Mi presento, mi chiamo Paolo Carletto

Spesso ci si chiede: “Chi c’è dietro ad un’azienda? Che faccia ha? – Mi presento, mi chiamo Paolo Carletto.

(Paolo)

Nasco nel dicembre del 1964 in un paese vicino a Milano. La mia era una famiglia come tante, dove non mancava nulla tranne il superfluo.  Quello che c’era era frutto del duro lavoro. La mia prima lezione di vita è stata: Paolo vuoi qualcosa? Rimboccati le maniche e vai a lavorare! Solo così potrai capire il valore delle cose ed averne la giusta cura. Questa frase me la porto dentro, come se fosse tatuata sul cuore. Oggi apprezzo e rispetto tutto ciò che la vita ed il lavoro mi dà. Nel 1977, anno in cui mio padre Vittorio cambiò strada ed iniziò l’avventura di questa azienda, io passai l’estate a lavorare con lui sulle macchine circolari (forse combinai più guai che cose buone). L’intento era di risparmiare per realizzare il mio sogno: una moto da cross.

la prima moto di paolo carletto(la mia Aprilia 50)

Io e il mondo del lavoro

Dopo i consueti studi di ragioneria, (in quegli anni o eri ragioniere o eri geometra, non c’era verso di fare altro!) ero indeciso se andare all’università o lavorare in ditta; propendo per la seconda opzione. Da quel momento entro in modo ufficiale nel mondo del lavoro. Erano anni incredibili e frenetici. Tutto era fatto a mano: ordini, schede prodotto, calcoli per le distinte base. La contabilità era affidata alle calcolatrici da tavolo e le statistiche richiedevano giorni e giorni di lavoro e tanti fogli di carta. Finché un giorno arrivò lui, il computer! Un Olivetti M 20.

paolo carletto m20(La macchina infernale)

Non fu amore a prima vista, anche perché era tutto un: “metti dischetto A, togli dischetto B, rimetti il dischetto A” il che rendeva il lavoro molto complesso, ma alla fine fui colpito dalle “potenzialità” di questo nuovo strumento. Ricordo che passai giorni e notti a lavorare con Gianluca, tecnico genovese, venuto a Milano in cerca di lavoro. Egli fu il mio mentore nella selva oscura dell’informatica.

La Naja

Il mio idillio con la macchina infernale è breve; di lì a poco ricevo la fatidica “cartolina” per il servizio di leva. Nel 1985, mentre Milano vive la nevicata del secolo, io parto per la naja; Palmanova del Friuli, ad un tiro di schioppo da Gradisca d’Isonzo, dove mia padre passò la sua infanzia; un ritorno alle origini, bene! (Palmanova del Friuli)

Inutile dire che in quell’anno ne combinai una più di Bertoldo. Ho un carattere gioviale ed aperto e la caserma era un teatrino; immaginate di vivere in una farsa. Il nome Paolo Carletto era sempre il primo nella tabella puniti! Quando non pilotavo il carro armato sui greti dei torrenti friulani, il tempo lo passavo ad inventare qualche scherzo da fare. Devo dire che è stato un periodo molto leggero e divertente. Due cose però le ho imparate in quel mondo di signorsì signore: essere responsabile di ogni mia azione e risolvere in fretta ogni cosa che mi trovassi ad affrontare, contando solo su me stesso. Quell’anno in caserma fu una vera e propria lezione di vita.

La famiglia di Paolo

Il primo grande giro di boa della mia vita è nel 1991. Spostiamo baracca e burattini da Milano ad Angera, un’antica città sul Lago Maggiore. La mia vita cambia, vengo sbalzato in una nuova dimensione sociale e lavorativa. Nuovi spazi, nuovi amici e nuovo ambiente di lavoro. Non ci metto molto ad adattarmi e ben presto mi integro bene nella nuova realtà; così bene che di lì a poco conosco la donna che diventerà prima compagna e poi moglie. Nel 2000 nasce Jacopo e due anni dopo Daniele, detto “Dede”. I miei figli sono le vere gioie, la fonte di energia che non mi fa mai mollare. Il motivo per cui, ogni giorno, mi dico che la vita è bella!

(Jacopo e Daniele)

(In viaggio con i ragazzi)

Le mie passioni

Cosa mi piace? Mettetevi comodi la lista è lunga! Di passioni ne ho tante, ma quella per le moto ed i motori è forse la più grande. Dopo la mia prima Aprilia 50, ho sempre avuto una moto nel mio garage. Con gli anni, ho iniziato ad amare le moto “vintage”, (forse perché anch’io sono diventato “vintage”) e mi sono dato al restauro di cimeli rugginosi. Amo le auto inglesi sportive e nel 2005 sono stato il primo e l’unico in Italia a costruirsi una kit car; una lotus 7. In inverno è sempre smontata ed in costante evoluzione; diciamo che è un po’ come la tela di Penelope. Il posto d’onore nella lista delle passioni “materiali” va agli orologi; dato che amo essere puntuale, al polso ho sempre un orologio.

(Lotus 7)

(Lotus 7 in pista )

paolo carletto omega(Omega 321 Speedmaster)

Amo gli sport all’aperto, dal trekking alla barca a vela, mentre in inverno non disdegno la palestra e le ciaspolate sulla neve. Di recente ho iniziato a praticare Yoga e devo dire che sta diventando una sana passione, sia per il corpo che per la mente (Ashtanga Yoga, ve lo consiglio!). Anche la musica riveste un ruolo importante nella mia vita; è la colonna sonora delle mie giornate; dove ci sono io c’è musica! A parte alcuni generi che proprio non capisco, (quelli che ascoltano i miei figli ad esempio) mi piace di tutto, dal Rock al blues alla musica classica che spesso mi rilassa mentre leggo un buon libro.

paolo ciaspole(Paolo e le ciaspole)

(In regata sul lago)

Paolo il nomade

“Non c’è uomo più completo di colui che ha viaggiato, che ha cambiato venti volte la forma del suo pensiero e della sua vita”.

(Alphonse de Lamartine)

I viaggi sono una cosa di cui non posso fare a meno, infatti mi reputo un nomade e non un turista. Esplorare culture e posti nuovi sono un nutrimento per la mente e per l’anima. In questi anni ho viaggiato tanto, cercando di staccarmi dal mio letto di piume per mettere i piedi sul granito della terra. L’esperienza più bella e scioccante l’ho fatta in Africa. Per due anni di fila mi sono recato nel continente nero per portare i farmaci nelle zone più povere o dove c’era stata la guerra. Mali, Burkina Faso, NigerCiad sono i paesi che mi hanno cambiato nel profondo; ho rimesso in discussione il mio modo di vivere, le mie “necessità” e a dare il giusto valore alle cose.

paolo tibesti(Deserto del Tibesti – Ciad)

 

(Deserto del Tibesti – Ciad)

I miei progetti

“Il secondo classificato è solo il primo dei perdenti”

Colin Chapman

Questo è il motto che più mi ritrae; sono un animo irrequieto e aldilà dello Yoga, la pace interna è ben lungi dal divenire realtà. Quindi ho sempre dei progetti a cui dedicarmi. Sul piano del lavoro, sto aggiornando l’assetto dell’azienda in base alle nuove modalità di vendita online e del nuovo marketing. Infatti, da oltre 5 anni sto anche studiando le dinamiche SEO, il marketing digitale, gli algoritmi di Adwords e per finire la semiotica. Sono un preciso e amo andare al passo coi tempi!

Sul piano personale invece, vorrei laurearmi in scienze della comunicazione; visto che non l’ho fatto da giovane, vorrei farlo adesso. Resta solo da trovare il tempo per incastrare tutto, ma ci sto lavorando!

 

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Vigogna – Vicuña

La Vigogna – Il vello degli Dei

La Vigogna o Vicuña è un camelide che vive sulle Ande, la cui lana era usata dagli Incas per tessere le vesti dei loro re; da qui il soprannome “Vello degli Dei”. Questo popolo, curava e riteneva sacro questo raro animale. Questo fu quasi sterminato insieme agli Incas, con l’arrivo dei conquistadores spagnoli. Negli anni ’60/’70 iniziano le prime azioni di tutela e ripopolamento della Vicuña. Infatti a Washington nel 1976, fu inserita come specie a rischio di estinzione e quindi fu tutelata con la massima protezione. Questa azione, promossa dalla convenzione internazionale dell’ONU, pose fine alla mattanza ed allo sfruttamento. Oggi grazie a queste misure di controllo, questo animale ha raggiunto una popolazione di circa 180.000 capi.Vigogna - Vicuña(Vigogna – Vicuña )

Il Pregio della Vicuña

La Vigogna ha delle qualità a dir poco uniche in natura. Infatti la sua fibra ha un diametro pari a a 12 µm ed è più morbida, sottile e lucente di quella del Cashmere, che arriva a 15 µm. Si fanno dei tessuti con una mano così soffice, da far sembrare ruvido il Cashmere se messo a confronto. Ecco perché è detto il Vello degli Dei. I tessuti in questa fibra sono molto caldi e lucenti e sembra quasi che ci sia della seta dentro.

Un altro motivo di pregio è l’esigua quantità di lana di Vigogna che si ricava da ogni animale. Si parla di 250 gr. ogni due anni! Infatti la tosatura della Vicuña si fa solo a mano, con cicli biennali e non più di 5 volte nella vita di ogni esemplare. Questo serve per rispettare l’animale e le sue mute naturali.vigogna

Per questo motivo il prezzo della lana grezza è di oltre 400 $ al kg. ed arriva a circa 2000 $ al kg. per il filato pronto da tessere. Inutile dire che questi prezzi la portano nell’olimpo del lusso più estremo.

L’uso

A causa del prezzo della Vigogna e della rarità di questa fibra, il suo uso è relegato ai capi di super lusso, come cappotti e giacche di sartoria e sciarpe. Solo poche aziende riescono ad accedere all’acquisto di questa fibra. Tra queste ci sono Piacenza e Loro Piana. Quest’ultima ha avviato il ripopolamento della Vigogna in accordo col governo peruviano. Infatti è nata una riserva privata, chiamata “Reserva Dr. Franco Loro Piana”. Qui, la Vicuña può vivere allo stato brado, al sicuro dai bracconieri e dallo sfruttamento senza regole. Un gran bell’esempio di eco sostenibilità che fa onore all’Italia!

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Cotone Pima

Il cotone Pima – L’oro del Perù

Il cotone Pima è detto l’oro del Perù per la sua alta qualità. Questo cotone prende il nome dalla tribù Pima, un gruppo di indiani d’America che per primi hanno coltivato la pianta negli Stati Uniti. Le origini di questo cotone sono in Perù. A differenza del cotone più comune, che è della specie hirsutum Gossypium, il cotone Pima è della varietà Barbadense Gossypium. Oggi si coltiva oltre che in Perù, anche nel sud-ovest degli Stati Uniti ed in Australia.

Le qualità del cotone Pima

Il cotone Pima è un cotone a fiocco extra lungo. Ha una naturale lucentezza, resiste bene all’usura e al pilling e ha una grande capacità di assorbimento. Per molti aspetti sembra il cotone egiziano ma ha una mano più morbida. Dal Pima si fanno tessuti molto soffici e compatti grazie alla qualità della fibra. Di conseguenza i capi sono molto longevi, comodi e freschi. Essendo ancora oggi coltivato e raccolto a mano, la qualità è sopra alla media. Infatti, in fase di raccolta, mani esperte tolgono le impurità per una maggior purezza delle fibre. La raccolta del Pima è fatta in tre riprese, seguendo la fioritura della pianta. Si comincia dai rami bassi (dove vi sono i fiocchi migliori) e si procede fino ai rami più alti.

cotone pima(Pima)

Il brand Supima

Jesse Curlee è il presidente di Supima, acronimo di Superior Pima. Il consorzio unisce i produttori americani del miglior cotone al mondo, il Pima superiore. Supima nel tempo è diventato un vero e proprio marchio. Identifica un cotone molto soffice, di un bianco brillante anche allo stato grezzo, ma super-resistente. Il Pima è prodotto solo in alcune zone sparse tra California, Arizona, New Mexico e Texas. Il consorzio Supima ha anche creato il Supima Award, un premio istituito per trovare nuovi stilisti capaci di usare al meglio questa fibra. Lo scopo è quello di dare prestigio al brand. Il marchio più famoso legato a questo tipo di cotone è Brooks Brothers. Da sempre lo usa per le sue famose camicie, che sono indossate da tutte le celebrity del cinema e della politica, tra cui il presidente Obama.

Il marchio Brooks Brothers è ora di proprietà di Claudio Del Vecchio, figlio di Leonardo, patron di Luxottica. Il cotone Pima e le materie prime sono la chiave  strategica per essere un brand globale. Claudio Del Vecchio ha dichiarato inoltre che il cotone Pima è lussuoso, ma anche pratico, forte e longevo. È quel qualcosa in più che i clienti si aspettano.

I filati di Pima

Da una fibra così pregiata e lunga si fanno filati doppi ritorti che vengono mercerizzati oppure lasciati a mano naturale a secondo dell’uso previsto. I titoli sono molto fini come Ne 100/2, fino al Ne 120/2. In alcuni casi si può arrivare al titolo di Ne 180/2 che serve per tessuti da camiceria di gran lusso.

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Fibre artificiali

Fibre artificiali

Le fibre artificiali, nascono da materie prime rinnovabili, come la cellulosa del legno, le proteine del latte (caseina) ed i cascami di cotone (linters). Sono simili alle fibre naturali per aspetto e qualità. Il grande plus di queste fibre, è quello di essere fatte ad hoc per gli usi a cui sono destinate. Infatti, a seconda del bisogno, ci sono fibre opache o lucide. Possono essere rigide, elastiche, ruvide o  morbide. Le fibre artificiali, si creano grazie a dei reagenti che mutano le fibre naturali. In base al materiale di partenza ed al reagente, si fanno diversi tipi di fibre.

fibre artificiali - linters(Linters di cotone)

Le fibre artificiali, sono spesso ritenute causa di cattivi odori, di allergie e scomode da usare. Alcuni credono che siano nocive per la salute e per l’ambiente. Nulla di tutto ciò è vero! Anzi! Le fibre artificiali, grazie al loro sviluppo, sono in grado di prevenire, ridurre e spesso risolvere questi problemi.

fibre artificiali

La storia

I primi tentativi di creare delle fibre artificiali, risalgono al 1884, quando il conte De Chardonnet riuscì a a creare un filo con un po’ di nitro – cellulosa. La cosa riuscì grazie a un ciclo di estrusione. Questa seta artificiale prese il nome di Rayon ed ebbe subito due problemi.

  • Primo: era pericolosa, visto che bruciava con facilità.
  • Secondo: era più costosa della seta naturale.

Nel 1890 nasce il Rayon cupro ammoniacale che è quasi identico alla seta per lucentezza e mano. In Italia, bisogna aspettare fino al 1920 per vedere la prima azienda di seta artificiale. Questo fu possibile grazie ad una compagnia di navigazione, la SNIA: “Società di Navigazione Italo Americana”, che si occupava di trasporti marittimi tra Italia e Stati Uniti. Al mutare del mercato dei noli, la SNIA decise di investire nell’attività industriale. Tre aziende finirono sotto il controllo della SNIA:

  • La Società Viscosa di Pavia (1920),
  • Italiana Fabbriche Viscosa di Venaria (1920)
  • Italiana Seta Artificiale di Cesano Maderno (1921)

snia - fibre artificiali(SNIA a Varedo)

Il Boom

La fase di crescita continuò nel 1925 quando si fece il nuovo impianto di Torino Stura. Nel 1927 la SNIA Viscosa assume il controllo del Gruppo Seta Artificiale con gli impianti di Varedo e di Magenta. La produzione annua di Rayon, passa dai 500.000 kg nel 1920, per arrivare, durante la crisi del 29, ad oltre 9,5 milioni di kg.

Negli stessi anni l’industria delle fibre artificiali si sviluppò a Châtillon, in Val d’Aosta grazie alla vicinanza delle centrali elettriche, con impianti anche a Ivrea e a Vercelli (Società Soie de Châtillon).Fu creata una fabbrica di acetato a Pallanza, la Rhodiaseta, poi divenuta Rhodiatoce (con brevetti Rhône-Poulenc). A seguire, a Gozzano (Novara) con un impianto con il processo al cupro ammonio che usa cellulosa (linters di cotone) della società Bemberg. Infine a Pizzighettone (Cremona) per la produzione di cordene, fibra usata per le tele dei pneumatici.

Quali sono le fibre Artificiali

Il Rayon è la prima fibra artificiale, ma negli anni, sulla spinta della eco-sostenibilità, ne sono state create molte altre. Ecco un elenco di questi nuovi materiali:

Tutte queste fibre sono simili, tranne il Lanital che deriva dalle proteine del latte. È molto simile alla lana con cui condivide molte qualità: isolamento, morbidezza e mano. In più, è poco gradito dalle tarme. Si possono dividere le fibre artificiali in base alla loro origine.

  • Cellulosiche (dal legno)
  • Proteiche (dalle proteine del latte e del mais)
  • Alginiche (dalle alghe)

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Boxer

Boxer – la storia

Il nome del boxer deriva della boxe; (nome inglese del pugilato). È un antico sport, noto fin dall’antichità. L’uso dei primi calzoni da boxe risale agli inizi del ‘900 ed erano tenuti in vita con una cinghia di cuoio. La sua diffusione avviene attorno al 1925. Una azienda americana, la Everlast che fa capi per pugili, crea uno short con l’elastico in vita al posto della cintura in cuoio. Il successo è immediato ma sono ben presto superati dagli slip che diventano il capo intimo più diffuso.

boxer(boxer)

Negli anni a venire, i boxer si dividono il mercato con gli slip. Il boom di vendite avviene negli anni ’80 grazie ad uno spot della Levi’s, dove il modello Nick Kamen, si toglieva i jeans in una lavanderia e restava in boxer fino alla fine del lavaggio. Il successo televisivo dà un grande impulso alle vendite di questo capo. Circa 10 anni dopo, negli anni ’90, appare sul mercato il boxer aderente che segue bene il corpo e sostiene quasi come uno slip. Questo nuovo modello si impone tra i giovani che lo mostrano sotto i jeans a vita bassa. Vengono creati anche dei modelli con la gamba molto corta, detti pari gamba che vestono quasi come uno slip ma sono più belli da vedere.

I boxer nel cinema

I boxer, sono da sempre protagonisti in molti film. Che si tratti di film sul pugilato, tra i più famosi citiamo Rocky, con Sylvester Stallone, dove appaiono nella loro veste più sportiva, o nei film dove l’attore rimane solo con l’intimo, il boxer è di sicuro un capo socialmente accettato. Di certo più bello da vedere rispetto allo slip! Come non ricordare, attori del calibro di Jason Statham in “The transporter” oppure Ryan Reynolds in “Deadpool” che calcano le scene indossando solo i boxer. Anche i vari interpreti di 007 fanno uso di questo capo: da Sean Connery a Daniel Craig, il boxer è sempre presente nelle scene.

boxer(Ryan Reynolds nel film Deadpool)

(Jason Sthatham nel film The transporter)

Come è fatto

Il boxer, può essere fatto con un tessuto ortogonale (tela), oppure in maglia. Questi ultimi possono essere elasticizzati e quindi aderenti o con un taglio morbido. In ogni caso, hanno un elastico in vita alto, che rende la pressione uniforme, senza dare fastidio. In alcuni modelli l’elastico può essere a vista, in altri invece, ricoperto col tessuto di cui è fatto il capo. Questa scelta può essere di natura estetica, o per rendere il capo anallergico. È ovvio che in questo caso il boxer deve essere fatto in cotone. I boxer in tela di solito hanno degli spacchi sulle gambe per renderli più comodi.

I nostri capi

La nostra produzione spazia su tutti i tipi di boxer. Quelli in tela di cotone hanno l’elastico della vita aperto e allacciato con due bottoni per il massimo confort. Non mancano i classici spacchetti sulle gambe che sono basilari per una giusta vestibilità. Le cuciture sono piatte e ribattute per dare confort e durata. Quelli fatti in jersey di filo di Scozia hanno un taglio morbido e sono molto comodi e adatti anche per dormire grazie alla freschezza ed alla naturale elasticità del tessuto. Per finire non potevano mancare i boxer in cotone elasticizzato. Questi seguono le forme del corpo e danno il massimo sostegno. I boxer elasticizzati, sono ideali anche per fare sport.

Altre risorse

Wikipedia

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Mutanda lunga

La mutanda lunga – Le origini

Non è facile trovare notizie sulle origini della mutanda lunga. Bisogna tornare indietro fino al V secolo a.C. per vedere qualcosa di simile a questo capo. Tra i Persiani infatti, erano in voga le anaxyrides, una sorta di brache messe sotto una tunica. Questa sorta di capo è in voga per molti secoli. A fasi alterne, si usano sia come esterno che come intimo. Anche alla fine dell’ VIII secolo ci sono prove dell’uso delle brache ma sono più aderenti e con una suola sotto il piede, a mo’ di scarpe. Nel medio evo e nelle epoche successive, si continua a far uso di questi capi, che hanno imbottiture e colori vivaci.

storia dell'intimo mutande lunghe(anaxyrides)

Lo sviluppo

È nel XVII secolo che le mutande lunghe prendono la forma attuale. Non si usa più come calzamaglia esterna, tipica del medio evo ma prende una linea più legata all’intimo. Anche con questo cambio però, le mutande lunghe non hanno un grande successo. La loro diffusione inizia solo nel XVIII secolo. In quest’epoca, si usano quasi sempre per la notte e sono fatte in cotone o in lana. Verso il 1800 diventano di uso comune negli Stati Uniti grazie al “Movimento riforma dell’abbigliamento”.  Spesso le mutande lunghe erano unite ad una maglia a maniche lunghe. In America presero il nome di “Union Suits”

mutande lunghe(Union suits)

Le mutande lunghe si diffondono in Europa agli inizi del ‘900. Le classi operaie le usano contro il freddo e per dormire. Sono usate anche dai militari; infatti, i soldati le usano come riparo da usare sotto la divisa. Nei due conflitti mondiali del ‘900, c’è un largo impiego di questi capi fra le truppe dei vari eserciti.

Le mutande lunghe nel cinema

Questo capo è spesso usato nel cinema, specie nei film storici o western, dove è facile vedere il protagonista usare i classici mutandoni. In Italia sono apparsi nei famosi film con Bud Spencer e Terence Hill. Tra i vari titoli ci sono “Lo chiamavano Trinità” e “Scusi dov’è il west?”  dove un giovane Harrison ford le sfoggia con Gene Wilder. Le mutande lunghe sono senza dubbio l’elemento che ricorda l’epoca del far west.

(Harrison Ford e Gene Wilder)

La mutanda lunga ai giorni nostri

Ai giorni nostri questo capo è usato per fare attività sportive sulla neve o da chi va in moto anche in inverno. La loro forma è sempre la stessa, ma il materiale con cui sono fatte è stato sviluppato in diverse opzioni. Questo per soddisfare ogni tipo di esigenza, grazie a pesi e fibre diverse, che danno calore e praticità d’uso

I nostri capi

Dal 1977 noi produciamo questo capo classico che fa parte dell’intimo da uomo. Vista la politica della nostra azienda, che è volta alla massima qualità, usiamo solo fibre naturali di pregio. I nostri capi sono fatti in lana Merino, lana e seta, pura seta e per i più esigenti in cashmere e seta.

Per chi non vuole rinunciare al calore della lana, ma ha problemi di allergia, c’è la mutanda lunga in lana e cotone. Si tratta di un tessuto doppio, che ha il cotone sulla pelle e la lana all’esterno. In questo modo si evitano i fastidi che può dare la lana sulla pelle. Tutti nostri modelli sono studiati per il massimo confort! Cuciture piatte per non dare fastidio, fasce elastiche alla caviglia per una vestibilità perfetta ed elastico in vita regolabile grazie a 3 bottoni, per ogni esigenza.